Pittura
Scrizione (non-descrizione). Parole come 'sistema' e come 'descrittiva' mandano a pertinenze retrocesse. Una presenza segna anzitutto una deissi (di seguito, quant'altro può dirsene). Deissi soggetto anonimo, corpo grammaticale (in senso esistentivo: non-persona).
La scrittura, notazione di gesti, è il 'carattere' del corpo afono. Nel disimpegno la 'pittura' rientra scrittura. Il gesto, scrittura aerea, consegna alla traccia la sua ombra, documento del gesto e materia autofigurante.
I gesti (le tracce) non sono necessariamente omogenei; sono lavoro gratuito, indestinato; sono 'asociali', hanno (se hanno una identità) identità monadica. Tale il 'peso' dei gesti. 'Misura' è il campo della deissi, fiato del Vuoto.
Una traccia incide un gesto, un modulo corporeo, il cui contenuto psichico è dato, non detto, nel 'carattere', diversità. Carattere incomponibile, e primo di qualsiasi alfabeto possibile.
Per la scrittura è pagina il vuoto in attesa, campo vacante, virtuale o disponibile, del quale la scrittura, a venire, non ha preconoscenza. Per lo scritto il vuoto (pagina) non è sfondo ma sostanza scrittoria: il bianco è nero e il nero è bianco; in ogni caso sono entrambi 'vuoti' (in senso linguistico) per opzione. Come non può dirsi di ciò che non ha attributi in positivo (l'empirico 'niente' e il metafisico 'nulla') il 'vuoto' come revoca del reale trovi il suo doppio nell'assenza di intenzione (di senso).
La scrittura, turba evocatrice e suscitatrice del vuoto, detta interstizi la cui giustezza, 'numero', non può che essere simultanea alla giustezza delle figure deittiche (caratteri). (Parmenide Plotino Boezio).
Scrittura (pittura) = mimica non-mimetica. Alla pittura riesce 'mimetica' qual che sia referenzialità dove referenzialità include somiglianza (rappresentazione di che). La scrittura è per sua distinzione afasica, eccede di necessità nel dire il proprio nome: visibilità del corpo, mostra dell'indimostrabile (la presenza pura) e, per chi voglia, supplenza. (Agamben).
Non 'automatismo' quale di conio storico; semmai, distrazione. La scrittura gesto distratto di un corpo perfetto. E, per implicazione non invocata, cifra o nome della infinitudine dell'attimo non rubricato nei nomi del sentire. Goethe (Werther) Barthes.
Postilla
In sul finire degli anni novanta ricevetti manualmente da Gino Gorza - usanza risalente a epoche remotissime - questo foglio: dileguava ancor prima di formarsi l’idea anche più vaga del potersi trattare di qualcosa nell’ordine del cosiddetto frammento di cui mai si fu cultori tranne che alle condizioni di negarne e sovvertirne anticipatamente qualunque fosse la natura attribuitagli. La compiutezza, insieme alla complessità delle articolazioni e dei rimandi aveva la marca inconfondibile del trattato, senza scorciatoie fossero pure nobilmente aforistiche o risolutivamente assiomatiche. Aperture vertiginose piuttosto su di un vuoto fin da principio doppio-sottintesi i rimandi alla danza: richiamando l’ipseità del vuoto e l’interstizialità dei caratteri di una scrittura la cui giustezza è il solo intrattenimento possibile. In distratto vedo una metonimia per astratto, in deissi colgo diegesi come istanza di affabulazione senza termine, così sia. Provocatoria fin dal titolo la prosa: anzitutto in quanto tale, dato il periodo prevalentemente dedicato a capoversi e dizioni poetiche quasi a marcare la sempre cara identificazione di voce e stanza; poi perché si prestava ai simulacri i della didattica, ad una vocazione espositiva che già dalle prime stampe non era messa in mora o in forse, bensì revocata senza possibilità di appello. Che poi si richiamasse la pittura quale corpo senza organi dando il nome di disegno proprio ad esempi di pittura assoluta adornava d’ulteriori paradossi il paradosso di partenza, che altri e non pochi - mai troppi d’altronde come i fogli e le righe di Gino, ne racchiudevano. Rivolgersi per giunta, in attesa di improbabilissime risposte a uno scrittore di tal genere, obbligherebbero galateo e grammatica ad un punto interrogativo fra parentesi, vale la pena dire completasse il quadro, trattandosi a summa conclusa dell’opera di un pittore; se potesse esservi risposta sarebbe eco, riflesso anamorfico, reiterata mimologia di graffiti ierofantici, eccellenza cartografica dell’uno nel disegnare luoghi, ove disegno era vasarianamente potenza ideativa repertazione di frequenze rovinologiche dell’altro - di due persone, vale a dire artifizi e finzioni pur sempre una quarta, del singolare, come già rammentava Baratta che fra gli studiosi di semiotica fu a Gorza il più vicino.
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