lunedì 21 marzo 2022

paolo thea

Fu Jarry, con un certo anticipo sulla nozione situazionista (e non solo, di détournement, stornamento e altro) a indicare come unico degno compito quello di rovinare le rovine. Superamento dall'interno del nichilismo o sua elezione a dimora privilegiata, pratica ardua a effettuarsi e a riconoscersi. È indiscutibilmente su questa linea che si collocano le operazioni scrittorie condotte da Paolo Thea nelle sue opere, dalle "Note di viaggio" a "Profanazione" fino al recentissimo "Interiormente figure" (ed. Toso - Torino 1995). Identificabili quanto raffinati i pretesti: ripensare il passato contro il presente fuori da ogni istanza conservativa, depotenziare le categorie temporali, restituire l'arte alle follie che la suscitano e a quelle che suscita (un problema di genesi prima che di struttura), riportare dunque il racconto che con questa si identifica per sostituzione o sovrapposizione alle potenze destabilizzanti dell'antinarrativo, ridimensionando definitivamente le pretese veritative di qualunque ermeneutica.

Ecco quanto nell'opera di Thea accade, sotto le maschere, invero mentite spoglie, della "storia", della "filologia" e della "critica" che già hanno subito, fino ad un punto di non ritorno, l'onda d'urto della decostruzione, sebbene pressoché all'insaputa dei loro gestori ufficiali ed istituzionali. Il racconto dell'arte riprende da qui: dai doppi legami in cui si muove chi, tramite la scrittura, si colloca nell'improbabile relazione che vincola e divide il vedere ed il parlare.

Il libro, che qui ben ci si guarda dal riassumere (poiché è già in sé una summa), dallo schedare e dal recensire potrebbe definirsi, in termini mozartiani, un catalogo delle seduzioni. Compilato però dal commendatore di pietra che coniughi in sé vocazioni borgesiane e cattivo sentire post-fluxus. Nessun tentativo di ingraziarsi il lettore: se non in simulata non vi è captazione di benevolenza. Ed è pienamente logico, in un'opera di schegge enciclopediche, il cui motivo centrale non sta nell'iconoclastia, costantemente adombrata e riproposta e neppure nel culto delle immagini sotteso all'essenziale ma ricco percorso iconografico scelto, quanto nella rivelazione d'un'intima solidarietà e d'un profondo (quanto devastante) interagire fra i due fattori e lo stesso vale per lo spinoso affaire del reciproco implicarsi di qualunque ortodossia e qualunque eresia.

Sullo sfondo sono avvertibili le ipotesi che fra vedere e parlare lo scrivere non tracci alcun cammino ma introduca fatalità, compulsioni e discontinuità incolmabili, che nessuna garanzia di senso distribuisca a priori o restituisca a posteriori funzioni immutabili o fossero pur vaghe verisimiglianze. La meditazione sommessa su Paolo Uccello, qui ripresa da "Profanazione" cripta al suo interno trasgressioni irreparabili (scopra il lettore quali) e rivelazioni discrete che potrebbero sovvertire finanche gli studi storici ed artistici, non senza profitto, nell'improbabile caso questi trattenessero con il proprio oggetto, refrattario e fantasmatico, un qualche rapporto.

Raccontare così per via d'un embricarsi d'antiracconti, diviene un attentato perpetuo alle narrazioni istituite. All'invito al viaggio, garbato e settecentesco, si sostituisce in varie forme un invito al saccheggio. Al platonismo sui generis di Dürer pare unirsi l'indicazione di Benn sull'unica felicità che ci è concessa, quella delle immagini endogene ed endomorfe. Dentro a che cosa è tema d'ancor altro affabulare, il nostro, forse, di lettori.








Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.