lunedì 27 aprile 2020

canto



Ora conosco quest'azzurro, mordente, dolce fluido
    delle mie vene, capillarmente composto
     e l'essere, invenzione continua,
    nuovi versi, nuove cantilene,
esplorando lo scatto l'assoluto, lo spirito, l'immaginazione,
fuggenti cervella anfibie compresse fra le tempie del mondo
fenomenica scatola il cranio
  Una prassi d'immediate demenze m'insegnò a camminare
  svalutando la morte, sola meta l'esistere in una sinfonia prolungata
    semplici dinamiche del camminare stare fermo,
    stratosferico destino
     infrastellari pluridirezionali traiettorie.
      E le bizzarre proposte degli idealisti ronzeranno
       all'orecchio, mangiando, fumando, respirando la vibrante
  energia che li sposta sotto l'arco degli astri
    riflettendo il loro unico volto in acque, miraggi desertici,
    lontana visione.
  Anche con testa di scimmiotto sacro o cinocefalo babbuino,
  dispersi in ablativo assoluto, i pastiches, i pastis,
   le tette, che non finiscono più, cioè continuano,
gli haiku, l'elusiva monomane declamazione,
  il lattiginoso capezzolo del self service,
   fresca menta acquatica, gorgheggio,
     le lance spezzate, gli hamburger,
intromissione metereologica dell'oggetto in questione
  surriscaldato, lontana presenza
  con lo squarcio platonico di imagination au pouvoir
   nei gialli allucinati di Van Gogh
      lo spazio, gioco, avventura del grande nulla panclastico.
       matrice d'eros e tanatos
        con folle recitativo a trecentomila km al secondo
         ruggente gorgo del suo cavo immenso utero;
          entra di testa
           E. A. Poe fuma un sigaro,
   su e giù per l'Essere Reale, mandala sprigionante vapori
oppiacei;
in spazi sfavillanti vive la mia favola:
  i colori, il tangibile linguaggio di arabeschi
l'ineffabile vellutata carezza.








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