mercoledì 25 ottobre 2017

glosse a margine di un'epistola perduta


Nei suoni e nelle tracce della poesia come nelle equivalenti sostanze della pittura si dà, in figure e controfigure, l'archetipo dell'anima alata. Nella confusione di nome e figura, di scena e soggetto l'ecolalia d'un fruscio. Tale linguaggio all'infinito situa nel bianco, sia come dato ottico - zinco, avorio, titanio - che come albedo, i suoi luoghi oscuri ed il suo cuore di tenebra. Nel nero trova la luminosità. Lo sfarfallio riconduce per la via di segni che screziano, iridano e increspano l'uniformità del campo, all'ondulare sospeso di danze, a voli, volteggi e cadute, polimorfe angelologie e quanto può ricostruire il tracciato della mano che ne è l'invisibile inseguitrice. A un certo punto è come se tutto si autoillustrasse nell'inventarsi di una citazione, Zhuangzi che sogna di essere una farfalla, Gozzano ("psiche, ad un tempo anima e farfalla. / scolpita in su la stele funeraria") che con Nabokov sogna di esserne un intero regesto sempre aperto a nuove scoperte. 
"Vorrei una storia degli sguardi". Ma  cosa sono gli sguardi se non interstizi, vie d'uscita e d'allontanamento delle storie stesse (dalle stesse storie), intimità estrema realizzata nella distanza assoluta? Degli sguardi si danno solo favole, figure, miti e poemi. Un mitogramma appunto. Un respiro intorno a nulla. Ipometrie ed ipermetrie spaziali danno luogo ad un'epica della fuga e dell'inidentico, ad ogni passo ed ogni tocco si mobilitano enciclopedie, il dettato poetico è un re-citarsi, la verità in pittura finzione, e forse le possibilità della pittura sono a loro volta inerenti a ogni finzione. Oscillazione fra suono e senso, il verso è tutto. L'intersezione fra atto visivo e atto di parola annoda nel medesimo enigma l'elemento narrativo e quello denarrativo, nel reiterarsi continuamente rielaborato e rinnovato di una fabula - il recitarsi di un dettato appunto - un simulacro della presenza assoluta. Lavoro del lutto: cere inchiostri e sete. Lapidi, panoplie, stendardi funebri e drappi d'alcova. Alla fine manti d'invisibilità: vestizione o denudamento del nulla. L'ironia interroga, più ancora che nei modi del problematismo socratico, in quelli di una mantica vaticinante (non la teoria dei colori o la dottrina degli elementi: la loro intraducibile pratica; e anche l'alchimia è uno pseudonimo) che trova in sé le sue risposte. Se la scrittura è l'ombra del pensiero, la pittura ne tenta la luce. 




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