mercoledì 11 giugno 2014

ritaglio da giorgio manganelli 1974

1.       spettatori, i plebei elisabettiani fossero tutti geni; e se noi il linguaggio difficile non lo capiamo più, se non con un certo allenamento, vorrà dire che siamo diventati bischeri. Io penso che le cose non stiano a questo modo: ho l’impressione che quel linguaggio sia diventato da difficile incomprensibile semplicemente perché è cambiato il nostro atteggiamento verso il linguaggio, verso l’uso che se ne può fare. Questo cambiamento è avvenuto all’incirca da un secolo, forse anche meno. Grazie a giornali, radio e televisione oggi la nostra società parla il linguaggo più misero, affranto, falso, ripetitivo, morto, neghittoso che si sia mai parlato; sono convinto che se noi, gli astronauti analfabeti, incontrassimo gli uomini dela pietra, non riusciremmo assolutamente ad afferrare il loro linguaggio che suppongo sottile, fantasioso, complesso, assolutamente shakespeariano. Può essere che il linguaggio shakespeariano agisca in modo traumatico su un pubblico – qualsiasi pubblico – : ed è il trauma della totalità nei confronti della settorialità burocratica; è, infine, il trauma del linguaggio normale perché ricco nei confronti di un linguaggio focomelico e intimamente sventurato. Un mondo psicologico ricco esige un linguaggio ricco, ed un linguaggio povero comporta la frustrazione, l’avvilita elemosina di un mondo squallido. Vorrei essere chiaro: nel nostro mondo esiste l’assoluto contrario teatrale di Shakespeare: è Eduardo. Eduardo può ‘andar bene’ per i metallurgici: ama i poveri ed è di sinistra; ma il suo linguaggio teatrale è probabilmente il più perfettamente reazionario che esista nell’intera Europa. Certo, Eduardo lo si capisce: come no? E’ fatto per essere capito, cosa che non è assolutamente di Shakespeare [...]»
(G. Manganelli, Quella volta che mi tuffai tra le masse, “L’Espresso” 8 dicembre 1974

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.