giovedì 26 marzo 2015

sul gioco (1-4) / differx. 2015

   
1

Eseguono dei ragionamenti. Fanno dei ragionamenti, ragionano. La cosa che faccio è mettere per iscritto i ragionamenti. Ma nemmeno. Ma meno. Delle frasi, solo delle frasi. È una mitografia. È depotenziata.


2

È tutto molto chiaro. Si tratta di frasi. Faccio delle frasi. In letteratura spesso non ci sono frasi ma idee, e le frasi sono assunte a cottimo dalle idee.

Io non ho idee.


3

Ho preso partito per le cose e per le frasi. Chiuse fuori, le cose restano fuori all'addiaccio.
L'addiaccio consiste (può esser fatto consistere) in frasi. Alla fin fine è molto semplice.


4

Non è semplice. Quello che faccio non è semplice. Non è aleatorio e non è programmato. Non è procedurale e, se leggi bene Burroughs, non è cut-up. Non è una sola prassi. Ma nemmeno tutte le prassi. Non è qualsiasi prassi. Non è poesia. Ha smesso di essere poesia. Queste due ultime frasi hanno una data di attivazione pressoché definitiva collocabile grosso modo nel 2015. Non vado a capo. Se vado a capo non è necessariamente a caso, ma non è per metrica o progetto. Non è per poesia. Non mi interessa. Quello che è "genere letterario" smette di interessarmi. Non leggo romanzi. Non mi interessano i romanzi. Non scrivo romanzi. Non mi interessa nemmeno sentir parlare di romanzi. Non me ne spedite, non me ne parlate. Non compro gli insetti culturali che in determinati giorni della settimana infestano i quotidiani. Non capisco perché non si usino massicce dosi di insetticida per debellarli. Non mi interessa la lirica. Non per protervia di 'poetica', non per ostilità, anzi del tutto serenamente. Non mi interessa la metrica. Non applico a quello che scrivo in prosa (dunque a tutto quello che scrivo ora) buona parte delle categorie della critica stilistica. Non parteggio per il racconto lungo. Non mi diverto a leggere realismo. Non amo le polemiche letterarie. Non credo in una età dell'inesperienza o post-traumatica. Non la vedo, tranne che nei quotidiani suddetti o nell'editoria mainstream o in quella definibile vorrei-essere-mainstream-mi-sto-allenando (ma.fo.ma.lo.sa., magari fossi mainstream ma lo sarò). (E poi puntualmente il sogno si avvera). Non attraverso, anzi schivo e attivamente fuggo il sottobosco, specie quando prende l'ascensore e i suoi sogni si avverano. Non mi incanta l'intellettuale che mentalmente è puro sottobosco ma che per contingenze qualsiasi alza il naso a pubblicare regolarmente con questo o quell'editore a distribuzione generalista, cancellando il mondo dal suo orizzonte. Non mi interessa la sorte degli intellettuali, più in generale. Né i Nick Cave .it né le Doris Day .it. Non pregio gli snob eruditi che si comprano l'eremo in vetta al carrefour per avere occasione di sputarci sopra. Non mi interessa respirare il fumo d'incenso pasoliniano che circola da mezzo secolo. Non penso che noi stessi, per i lettori futuri, saremo molto più che archeologia e aneddoto. Non leggo molti italiani. Non considero l'Italia interessante più di tanto, è una nazione tra tante, occasionalmente è quella che mi fornisce più materiali scritti nella mia prima lingua madre, ma non troppo altro. Non mi interessa nemmeno sapere quale opinione possano farsi gli intellettuali italiani (mainstream o would-be) di queste mie dichiarazioni. Non credo ci sia una nuova generazione di ||poeti|| dentro e dopo quella gli anni Dieci: non vedo altro che giovani prosatori e autori di ricerca, a volte eccellenti, non a caso. Non vedo che questi, semplicemente perché la fase storica è di post-poesia (e di medialità intrecciate), e occuparsi di poesia avrà sempre successo e spopolerà, certo, ma come forma attestata e mondiale -- e mediale -- di kitsch di massa. Non seguo il kitsch di massa, nemmeno quello non di massa. Non c'è ragione di seguire i gruppi di poesia, su facebook, se non per diffondere lì materiali postpoetici, o per rilievi di antropologia, diretti, sul campo. Non frequento molti siti, e meno che mai quelli letterari, infinitamente meno interessanti dei siti di scienza, antropologia, e delle barzellette ufologiche e complottiste, di cui mi diverte essere goloso. Non credo in una dimensione veramente collettiva delle 'poetiche'. Nemmeno in una dimensione orizzontale e non gerarchica del lavoro letterario, tanto che sto smettendo di fare 'militanza'. Non mi interessano le gerarchie reali e le insofferenze e tensioni che si creano e ricreano in tutti gli ambienti umani chiusi o connotati, in primis in quelli letterari, e perciò do una conseguenza di semi-isolamento alle mie prassi, come preparando capsule del tempo, indirizzate - facilmente - alle varie forme di sordità che prenderanno piede nell'Italia futura, diversa da questa, sempre cialtrona ma diversa. Non mi interessano l'astio la protervia l'invidia il risentimento che fanno da carburante di siti e blog. Non credo che l'elettronica durerà molto di più della carta. Non dura più della pietra, in ogni caso. Resterà la letteratura latina, quella italiana spero meno.
  



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